Otto album e non sentirli
Gli Zen Circus hanno appena pubblicato il loro ultimo lavoro “Canzoni contro la natura”, che non tradisce il loro inconfondibile sound. A parlarcene è il leader Appino
Jacopo Saliani | 14 marzo 2014
Avete esordito nel 1994 all’età di 16 anni come gruppo punk/rock: quali artisti hanno ispirato questa scelta musicale?
Nel ’94 eravamo solo gli Zen, con una formazione diversa da quella attuale: poi nel 2000 siamo diventati gli Zen Circus. Fonti di ispirazione? Rischierei di farti una lista infinita di gruppi: solo per citarne alcuni, i Violent Femmes, i Pixies, i Talking Heads e, per quanto riguarda gli italiani, De André, Dalla, Guccini. Il nostro sogno era mescolare musica statunitense con il cantautorato italiano.
A proposito dei Violent: qual è il ricordo più bello della vostra collaborazione?
Quando siamo andati a prendere il bassista, Brian, all’aeroporto. Noi per anni avevamo visto nelle foto il basso acustico che suonava, era un sogno. E quando lo abbiamo visto in carne ed ossa, era come se avessimo trovato il Santo Graal! Forse è una cosa che solo un musicista può capire.
Prima Zen, poi Zen circus: come è nato questo nome?
Quando abbiamo cominciato a suonare a livello professionistico ci siamo accorti che un gruppo romano abbastanza famoso si chiamava Zen, quindi abbiamo deciso di aggiungere “Circus” perché in quel momento eravamo un vero e proprio circo, in giro per l’Italia a suonare con un camper!
Poi un giornalista una volta ci disse che il nostro nome era la fusione di due album degli Hüsker Dü, gruppo che noi amiamo moltissimo: da quel momento l’abbiamo adottata come versione ufficiale.
Da poco è uscito il vostro nuovo disco Canzoni Contro Natura: quali le novità dopo questo anno sabbatico?
In realtà non ci sono grandi novità: sono i soliti Zen che fanno le loro sane canzoni. Qualcuno ci critica perché non cambiamo, ma in realtà il nostro obiettivo è proprio di farci conoscere per quello che siamo.
C’è una canzone che ha più significato per voi nell’album? Direi Albero di tiglio perché era difficile in una canzone far parlare Dio e farlo risultare un albero. La canzone è venuta benissimo e ha un appeal anni ’70 che non abbiamo sempre nei nostri pezzi.
Qual è la parte bella dei concerti?
Quando stanno per iniziare e quando finiscono! Prima perché sai che di lì a poco ti esibirai e hai una botta di adrenalina paragonabile alla droga, alla fine perché quella stessa adrenalina te la godi, perché è stato tutto bellissimo.
Qual è la ricetta segreta del successo degli Zen Circus?
Tutto quello che abbiamo fatto lo avremmo fatto lo stesso, a prescindere dal nostro lavoro o dai dischi venduti.
Nel ’94 eravamo solo gli Zen, con una formazione diversa da quella attuale: poi nel 2000 siamo diventati gli Zen Circus. Fonti di ispirazione? Rischierei di farti una lista infinita di gruppi: solo per citarne alcuni, i Violent Femmes, i Pixies, i Talking Heads e, per quanto riguarda gli italiani, De André, Dalla, Guccini. Il nostro sogno era mescolare musica statunitense con il cantautorato italiano.
A proposito dei Violent: qual è il ricordo più bello della vostra collaborazione?
Quando siamo andati a prendere il bassista, Brian, all’aeroporto. Noi per anni avevamo visto nelle foto il basso acustico che suonava, era un sogno. E quando lo abbiamo visto in carne ed ossa, era come se avessimo trovato il Santo Graal! Forse è una cosa che solo un musicista può capire.
Prima Zen, poi Zen circus: come è nato questo nome?
Quando abbiamo cominciato a suonare a livello professionistico ci siamo accorti che un gruppo romano abbastanza famoso si chiamava Zen, quindi abbiamo deciso di aggiungere “Circus” perché in quel momento eravamo un vero e proprio circo, in giro per l’Italia a suonare con un camper!
Poi un giornalista una volta ci disse che il nostro nome era la fusione di due album degli Hüsker Dü, gruppo che noi amiamo moltissimo: da quel momento l’abbiamo adottata come versione ufficiale.
Da poco è uscito il vostro nuovo disco Canzoni Contro Natura: quali le novità dopo questo anno sabbatico?
In realtà non ci sono grandi novità: sono i soliti Zen che fanno le loro sane canzoni. Qualcuno ci critica perché non cambiamo, ma in realtà il nostro obiettivo è proprio di farci conoscere per quello che siamo.
C’è una canzone che ha più significato per voi nell’album? Direi Albero di tiglio perché era difficile in una canzone far parlare Dio e farlo risultare un albero. La canzone è venuta benissimo e ha un appeal anni ’70 che non abbiamo sempre nei nostri pezzi.
Qual è la parte bella dei concerti?
Quando stanno per iniziare e quando finiscono! Prima perché sai che di lì a poco ti esibirai e hai una botta di adrenalina paragonabile alla droga, alla fine perché quella stessa adrenalina te la godi, perché è stato tutto bellissimo.
Qual è la ricetta segreta del successo degli Zen Circus?
Tutto quello che abbiamo fatto lo avremmo fatto lo stesso, a prescindere dal nostro lavoro o dai dischi venduti.
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