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Odi et amo...ma non è Catullo
Per la prima volta dal piccolo schermo ai palchi italiani: Michele Bravi porta in tour il suo nuovo album “I hate music”, fresco di uscita e di consacrazione su You Tube
Chiara Colasanti | 29 gennaio 2016

C’è un abisso tra il primo album e questo: chi è davvero Michele? 

Michele è entrambe le cose, è solo cambiato molto dall’anno scorso. Mi accorgevo che da un giorno all’altro avevo tante idee diverse. Non volevo che chi mi ascoltava rimanesse spiazzato da questi nuovi suoni e da queste nuove canzoni, per cui ho deciso di raccontare settimanalmente su You Tube quello che stavo vivendo, quello che stava cambiando, quale forma stavano prendendo i miei gusti. 

Cos’è per te l’ispirazione?

Sono molto barbaro nello scrivere: quando ho voglia potrei comporre dieci canzoni in una notte, e magari poi non scrivere niente per un mese; quando hai bisogno di raccontare qualcosa vedi che la musica prende un certo tipo di forma. I hate music mi ha permesso di sfogarmi, di tirare fuori cose che pensavo non avrei mai esternato. Ogni album è un po’ una seduta di analisi gratuita: non devo soldi a nessuno, però tutti ascoltano le mie paranoie... è una cosa bellissima! 

Come ti senti addosso i pezzi di questo album? 

Sono tutti pezzi in cui ho scoperto che l’odio poteva diventare una bella forma di grinta: ho capito che anche io ho vent’anni, quindi ho smesso di piangermi addosso e adesso ho più voglia di saltare. Questo non significa essere più superficiali, significa aver scoperto di poter essere leggeri.

Pronto per il live?

I hate music è nato dalla voglia di suonarlo dal vivo: quando mi esibivo live, mi sono accorto che bastavano tre dei miei pezzi a far piangere il pubblico. Ho deciso quindi di trovare un repertorio che faccia divertire le persone e che possa essere allo stesso tempo valido!

Come sono nati i suoni di questo album?

Sono stato molto indeciso sulla persona a cui affidare la produzione: quando hai dei pezzi tuoi ci tieni che vengano fuori come tu li hai in testa; avevo quindi bisogno di trovare chi potesse concretizzare quello che avevo in mente. E ho conosciuto Francesco Catitti, che tra l’altro è produttore del disco degli About Wayne, che sono all’interno del disco: l’età media dell’entourage di musicisti che ha lavorato all’album è molto bassa e provengono tutti dall’underground! 

Con Francesco ci siamo ascoltati reciprocamente: si è creata una bella sintonia umana e poi musicale che ha portato a questi suoni.

Com’è cambiato il tuo rapporto con i tuoi fan?

Io ho semplicemente iniziato a capirlo ora: quando sei dentro X Factor vivi tre mesi in una casa, chiuso, senza contatti con l’esterno, entri che non ti conosce nessuno ed esci che sei noto a tutti. Un po’ ti senti anche violato: a volte sono passato per maleducato perché mi chiamavano per strada e io non mi giravo; in realtà mi chiedevo quale fosse il motivo per cui chiamassero me. Poi ho scoperto il pubblico del web che è molto più carnale: quando apri le porte del web, quel gradino che ti fanno credere così fondamentale della divisione tra artista e fan, in fondo, perde senso. 

I hate music è nato dalla voglia di suonare dal vivo: quando mi esibivo live, mi sono accorto che bastavano tre dei miei pezzi a far piangere il pubblico. Ho deciso quindi di trovare un repertorio che facesse divertire le persone e che fosse allo stesso tempo valido!

Come sono nati i suoni di questo album?

Sono stato molto indeciso sulla persona a cui affidare la produzione: quando hai dei pezzi tuoi ci tieni che vengano fuori come tu li hai in testa; avevo quindi bisogno di trovare chi potesse concretizzare quello che avevo in mente. E ho conosciuto Francesco Catitti, che tra l’altro è produttore del disco degli About Wayne, che sono all’interno del disco: l’età media dell’entourage di musicisti che ha lavorato all’album è molto bassa e provengono tutti dall’underground! 

Con Francesco ci siamo ascoltati reciprocamente: si è creata una bella sintonia umana e poi musicale che ha portato a questi suoni.

Com’è cambiato il tuo rapporto con i fan?

Io ho semplicemente iniziato a capirlo ora: quando sei dentro X Factor vivi tre mesi in una casa, chiuso, senza contatti con l’esterno, entri che non ti conosce nessuno ed esci che sei noto a tutti. Un po’ ti senti anche violato: a volte sono passato per maleducato perché mi chiamavano per strada e io non mi giravo; in realtà mi chiedevo quale fosse il motivo per cui chiamassero me. Poi ho scoperto il pubblico del web che è molto più carnale: quando apri le porte della rete, quel gradino che ti fanno credere così fondamentale della divisione tra artista e fan, in fondo, perde senso. 

Io sono semplicemente un ragazzo che racconta la voglia di trasformare quella che è la sua passione nella propria professione e tutti i miei fan mi seguono proprio per questo. 

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