Il francese Alfred Binet è stato il primo psicologo a ideare il test d’intelligenza per verificare lo sviluppo cognitivo dei bambini, introducendo il concetto di “età mentale” per verificare il ritardo mentale dei bambini. Successivamente ha revisionato la scala iniziale misurando quindi l’intelligenza individuale come quoziente. Questa tecnica si è poi diffusa ed è ancora oggi è utilizzata.
Ma è giusto misurare le abilità cognitive in questo modo? E soprattutto, cos'è l'intelligenza?
La correlazione tra sviluppo cognitivo e condizioni socio-economiche
Alcuni esperti hanno studiato la correlazione tra i risultati dei test e i paesi di appartenenza. Non ci sono stati pareri contrastanti sugli Stati che avevano medie inferiori o superiori, ma gli scienziati hanno voluto concentrarsi maggiormente sull’origine di tale fenomeno, che non poteva che essere collegato alle diverse condizioni sociali ed economiche. Un esempio lampante è stato lo studio condotto da James Flynn, che ha messo in correlazione l'aumento dello sviluppo cognitivo con il progresso tecnologico, economico e sociale di ogni paese, notando che in quelli più industrializzati la media dei risultati era più elevata. Ciò, è stato scoperto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, proprio durante l’apice del progresso in quasi tutti i paesi europei.
Studi più recenti hanno rilevato invece che negli ultimi decenni questo fenomeno si è invertito, ma le motivazioni sono ancora incerte. Alcuni hanno cercato di trovare le cause nel continuo cambiamento della società e nell’uomo che deve farci i conti; altri le hanno attribuite alla diminuzione delle nascite.
Geni o fattori ambientali?
Uno studio condotto da Suzanne Sniekers nel 2017 confermò che la genetica incide (insieme ad altri fattori) sulle abilità cognitive: il 54% dell'intelligenza è dovuta ai nostri geni, con 22 di essi che ne sono "responsabili". Ovviamente, anche l’ambiente tende a plasmare le abilità cognitive. Infatti, altre ricerche hanno messo in relazione i fattori ambientali (in particolare lo status socioeconomico di ogni famiglia) e la genetica. È emerso che l’impatto ambientale è più evidente nelle famiglie con uno status più basso. Nel caso opposto prevale l’importanza dei geni. Si evince quindi il valore dell’educazione, che rientra pienamente nei fattori che incidono sull’intelligenza.
Il punto di vista qualitativo
Sebbene la nostra attenzione finora sia stata rivolta ai test cognitivi e sul Q.I, non abbiamo tenuto conto dell’aspetto qualitativo. Considerevole è a riguardo la teoria dell’intelligenza multipla di Howard Gardner, in cui ne analizza diversi tipi, tra cui quella emotiva. Quindi, l’intelligenza non si basa solo sulle abilità logiche o sulla sorte di essere nati dalla parte fortunata del mondo, ma è anche sensibilità ed emotività, e il vero “genio” sarebbe colui che possiede l’abilità di sommarne più tipi.
L'impatto delle tecnologie
Fino a quanto le tecnologie possono giovare all’intelligenza umana? Alcune facoltà sono state perse per colpa dell'avanzamento tecnologico. Inoltre, i dati parlano da sé: c’è stato un forte declino delle abilità cognitive a partire dagli anni duemila. La rivoluzione digitale ha semplificato le vite umane, portando conseguenze sull'intelletto, ma è un'arma a doppio taglio. Per quanto l'uomo moderno possa possedere fattori genetici positivi e godere delle abilità di ragionamento ed empatia, non riuscirebbe ad accendersi un fuoco da solo se privo di mezzi, né a svolgere lavori artigianali come costruire una sedia o un rifugio.
Chi è quindi il vero genio? Colui che gode di una vita agiata, chi ha lottato utilizzando gli strumenti che la natura gli ha donato, oppure colui che sa realizzare gli strumenti necessari alla sopravvivenza?