La pandemia ha messo a dura prova la scuola. Con la DaD si sono riscontrate varie problematiche nella didattica e nell'inclusività: a risentirne molto sono stati anche i bambini e i ragazzi affetti da un DSA (Disturbo Specifico di Apprendimento) o BES (Bisogni Educativi Speciali).
A causa di un nuovo metodo di insegnamento, il quale non poteva più coinvolgere quella partecipazione attiva che vivevano i ragazzi in una normale giornata di scuola, gli insegnanti hanno riscontrato difficoltà ad attenersi al PdP (Piano Didattico Personalizzato). Le problematiche individuate dall’associazione AID (Associazione Italiana Dislessia), che da sempre ha lottato per la sensibilizzazione di questo disturbo, sono diverse: gestione del tempo, organizzazione, valutazione, carico cognitivo e demotivazione. Un criterio che rientra nel PdP, infatti, prevede che i ragazzi abbiano almeno cinque o dieci minuti di tempo in più per terminare un quiz da verifica: dettaglio che frequentemente sfugge agli insegnanti, i quali avendo poca dimestichezza con le piattaforme tecnologiche, non sanno bene come aggiungere del tempo. Le lezioni, inoltre, devono avere una durata massima di quaranta o cinquanta minuti, spesso insufficienti per un apprendimento completo: soprattutto se il ragazzo si distrae più facilmente e l’insegnante in carico non può seguirlo, rischiando che quest'ultimo si perda e rimanga indietro.
L'attenzione è un problema che riguarda molti ragazzi in DaD, ma per chi soffre di un DSA può risultare ancora più impegnativo della norma. Questo aggrava inevitabilmente la loro preparazione per una possibile verifica orale o scritta, non avendo avuto il tempo necessario di programmare le attività e rielaborare il materiale di studio. L’organizzazione, quindi, si aggiunge come ulteriore problematica il quale necessita di grande attenzione e controllo da parte dei docenti: piattaforme di videochiamate e materiale da trovare o inviare non dovrebbero variare continuamente. L’AID ci è tenuta a sottolineare, infatti, che avere la necessità di utilizzare un PC come strumento compensativo non sia sinonimo di “capacità informatiche”, in quanto il disturbo presenta numerose sfaccettature più complesse; tra cui rientrano anche la difficoltà di organizzazione spazio-temporale. Troppi input e differenti vie per il materiale assegnato possono disorientare un ragazzo con un Disturbo Specifico di Apprendimento e rendere così la DaD poco fruibile.
Un terzo aspetto molto discusso è quello che riguarda la valutazione: se di per sé è complicato trovare delle modalità più adatte con tutti gli alunni, con persone che presentano criteri di valutazioni ben specifici e strutturati lo è ancora di più. La mera assegnazione di voto senza un feedback può demotivare il ragazzo, il quale non riesce più a comprendere dove e perché ha sbagliato.
Avere un DSA non coinvolge soltanto gli aspetti cognitivi, ma anche emotivi: capita che i ragazzi provino vergogna per il loro disturbo e per le loro difficoltà, e metterli dietro uno schermo, dove perdersi può diventare più facile che ritrovarsi, può trasformarsi in abbandono di studio e, nel peggiore dei casi, scolastico.
Per questo motivo il ruolo del docente in questa situazione diventa di fondamentale importanza: deve riuscire ad adattarsi ai nuovi cambiamenti e adeguare strategie didattiche che aiutino i ragazzi DSA a non perdersi, ma soprattutto deve partecipare a corsi di formazione che lo tengano sempre aggiornato in merito.