Da sempre l’istituzione scolastica è stata in grado di catalizzare le forti spinte evoluzionistiche innescate dai profondi cambiamenti religiosi, politici ed economici di cui l’umanità se n’è voluta rendere protagonista. Questo perché la scuola è stata ed è ancora il centro di forze sinergiche, specchio di tutte quelle “variabili umane" ricche e fortemente eterogenee, attrici incontrastate del progresso nella sua più nobile accezione. In tal senso mi piacerebbe esplorare con questo tipo di approccio e tale ottica talune esperienze germogliate in ambienti propriamente scolastici e non. Rivoluzionari soprattutto nel modo di concepire il rapporto educatore/educato, professore/alunno e nel modo di vivere la scuola.
Metodo montessori
Grazie a menti illuminate infatti si è sentita ad un tratto l'esigenza di non seguire più lo stantio modello settecentesco in cui l’istruzione, per altro privilegio di pochi, non era altro che il dispensare asettiche nozioni ma non si poteva più nemmeno seguire il modello sentimentale quasi populista “Deamicisiane” memorie. La scuola doveva necessariamente essere visceralmente legata alla vita reale, la quale non poteva in nessun modo rimanere chiusa al di fuori delle porte degli istituti scolastici. Proprio con questa valenza fortemente pragmatica nasce il metodo educativo montessoriano. Si parla del 1870 quindi di un secolo e mezzo fa, eppure gli insegnamenti della grande pedagogista italiana sono ancora estremamente attuali come ne testimoniano le numerose scuole di oggi ispirate dalle parole della stessa. Il metodo Montessori si basa sull'indipendenza, sulla libertà di scelta del proprio percorso educativo e sul rispetto per il naturale sviluppo fisico, psicologico e sociale dell’alunno, mirando a sviluppare una sorta di “educazione cosmica” cioè un senso di responsabilità e di consapevolezza verso la rete di relazioni che collega ogni entità microcosmica al contesto generale macrocosmico. Per raggiungere tale obiettivo Maria Montessori sottolineò l’importanza di: classi miste, in modo da stimolare la socializzazione, la cooperazione e l’apprendimento tra pari; la libera scelta di poter scegliere il proprio percorso educativo all’interno di una gamma di opzioni predisposte dall’insegnante; blocchi orari di lavoro didattico lunghi e senza interruzioni; attività educative con laboratori in modo da favorire l’apprendimento per scoperta e per “costruzione" con il coinvolgimento di tutti i sensi dell'allievo.
Don Milani
Un approccio simile è quello intrapreso anni dopo da Don Lorenzo Milani. Siamo in una Firenze degli anni ’60 ancora, sotto certi aspetti, perbenista e tradizionalista. Con la sua scuola di Barbiana cercò di scardinarne le fondamenta. “Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù ma la più subdola delle tentazioni… scudo di chi non si senta responsabile per l'altro", queste sono le parole che risuonarono nelle campagne toscane innescando un vivace dibattito sociale e morale. Il dogma di Milani era proprio che la scuola non poteva prescindere dalla vita quotidiana dei ragazzi che la componevano. Si parlava di una scuola popolare per giovani operai e contadini, i quali nonostante la fatica della loro esistenza e stimolati da questo grande maestro non volevano rinunciare alla conoscenza. Tutto era basato sull’esperienza diretta appunto come anni prima aveva intuito la Montessori. Il motto della scuola di Don Milani era: “I care” ovvero “mi riguarda, mi sta a cuore, mi prendo cura”. Con la “Lettera ad una professoressa” denuncia l'arretratezza e la disuguaglianza presente nella scuola italiana di allora.
Scandali ed episodi negativi
Dopo queste due grandi figure di pedagogisti italiani la scuola non è sicuramente rimasta ferma, ha continuato a seguire da spettatrice e da protagonista i grandi eventi storici che tutti noi conosciamo, dalle occupazioni sessantottine a quelle dei locali del liceo Diaz di Genova ma sicuramente la forte carica innovativa rintracciabile nel messaggio della Montessori e del Don Milani non si scorge negli esempi più recenti di didattica breve o classi rovesciate. Ovviamente non vuole essere questo un giudizio di merito. Dopo questo breve excursus nella storia della scuola italiana è ovvio che rimaniamo basiti ed inorriditi dalle notizie che ci giungono sempre più frequentemente di cronaca nera dove i protagonisti sono maestri e professori. Purtroppo eventi di siffatta natura non conoscono confini geografici, dal settentrione al meridione. Senza esclusione di colpi, persone che hanno doppiamente tradito la fiducia delle madri e padri che hanno affidato a loro l’educazione e la vita dei propri figli, si sono soprattutto resi colpevoli di aver tradito la fiducia nell’istituzione Scuola. Le immagini delle maestre che colpiscono sia fisicamente che moralmente dei bambini inermi sono ancora impresse nei nostri occhi. Bambini che non avranno indubbiamente e comprensibilmente più il desiderio di avvicinare figure di educatori che in qualche modo possano ricordare loro quelle che li hanno così profondamente traumatizzati. Ma l’aspetto ancor più grave è quello della loro totale sfiducia non solo nei confronti di insegnanti ma di qualsiasi altra figura che rappresenti l’autorità. È vero anche gli insegnanti sono stati oggetto di atti violenti nei loro confronti perpetrati da alunni aggressivi e stolti, la scuola quindi si trasforma in una moderna arena in cui il ruolo di carnefice e vittima si scambia vorticosamente. L’insegnare dunque passa in secondo piano schiacciato da conflitti culturali e sociali che non hanno nulla a che vedere con il piacere della conoscenza.
Scuola e Covid
In un contesto così già di per sé complesso, articolato e faticoso si è aggiunto lo tsunami covid-19. La didattica a distanza se da un lato ha delle potenzialità enormi in vista di un prossimo futuro digitale dall’altra ha amplificato talune fragilità pedagogiche. Il fermo immagine della studentessa bendata dalla propria insegnante per evitare che potesse ricopiare durante una verifica in Dad non fa altro che porre l’accento su una problematica ancora più profonda di mancanza di fiducia tra insegnate e studente. Così sono bastati due agonizzanti lockdown per cancellare con un colpo di spugna di connessioni mancate, telecamere accese a singhiozzo quel fantastico quanto ormai utopistico rapporto d’empatia e di complicità cosi tanto ben descritto nel film “L'attimo fuggente”.
La scuola che vorrei
Secondo me tutti quei lavori che hanno a che fare con materia viva dovrebbero essere intrapresi con la consapevolezza che non si tratta di un semplice lavoro ma di una vera e propria missione. Il carrozziere se si sbaglia potrà rovinare la verniciatura di una macchina, il parafango di un furgone; così come il cuoco per un suo errore potrà bruciare una pietanza ma l’insegnante, il medico, lo psicologo che sbaglia può macchiarsi di orrori e non di errori proprio perché vanno a lavorare sull'anima delle persone. Mi rendo conto che frequentando ancora il quarto liceo nel cercare soluzioni per sanare una così complicata ormai relazione tra corpo docente e corpo studentesco sono di parte e magari non possiedo quella lucidità tale da poter concretamente aiutare sia l’una che l’altra compagine. Sono altrettanto consapevole del fatto che spesso i professori, loro malgrado, sono pressati nel rispettare i tempi per lo svolgimento dei programmi ministeriali perdendo cosi quella leggerezza necessaria affinché si possa insegnare ma divertendosi. I docenti magari dovranno anche tener conto che dinanzi hanno le donne e gli uomini del domani perciò anche solo per questo meritevoli di rispetto e stima, ovviamente reciproci. Laddove questa alchimia fantastica, all'insegna dell'allegria e cooperazione, prende vita tutto diviene più semplice. È capitato anche a me di essere soggiogato da questo strano incantesimo e così le tediose poesie di Leopardi o i criptici studi delle funzioni si sono animati di nuovi e interessanti significati. Questo è una vittoria non soltanto per me ma anche per i miei prof di italiano e matematica. Finalmente ci siamo resi conto di non essere nemici contrapposti in distinte barricate ma di essere alleati tutti contro la guerra all’ignoranza.