"Inclusione” è un sostantivo ad oggi molto utilizzato, anzi, talvolta persino abusato. Eppure è un concetto che solo relativamente di recente è stato applicato al mondo scolastico. Negli anni Novanta infatti il termine viene mutuato dall’inglese e sostituito all’idea di “integrazione”. La differenza tra i due concetti sembra sottile, ma in realtà è sostanziale: in una prospettiva di integrazione, infatti, la classe è chiamata a elaborare una strategia didattica che consenta la partecipazione degli studenti con disabilità; nel secondo caso l’attenzione è diretta a tutti gli studenti che partecipino insieme, come gruppo classe eterogeneo e diversificato, alla lezione o all’attività.
Si passa quindi a un approccio olistico, in cui la trasformazione della strategia didattica apporta benefici non soltanto al singolo studente con disabilità, bensì all’intera comunità scolastica, in una visione che rigetta l’idea di un’omogeneità di apprendimento e di conseguenza di una didattica standardizzata.
Il primo passo verso questo sistema avviene a partire dal livello legislativo quando nel 2009 vengono emanate le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Questo documento prende le basi per l’utilizzo dell’ICF (International Classification of Functioning) come modello di riferimento per la classificazione della disabilità e propone un approccio “ecologico” per la gestione della disabilità, ossia pone l’attenzione sull’importanza dell’ambiente scolastico.
Successivamente la Legge 170/2010 e la Direttiva Ministeriale del 2012 sui BES (Bisogni Educativi Speciali) consolidano l’idea di personalizzazione della didattica e includono anche studenti privi di DSA tra quelli con esigenze didattiche particolari. L’ultimo documento in materia, il Decreto Inclusione del 2017 aggiornato nel 2019, conferma ulteriormente la direzione intrapresa, introducendo i Piani Educativi Individualizzati (PEI) come strumenti fondamentali per la didattica per studenti con DSA.