Il mestiere del mese
“Tagliata” per il lavoro
Mariagrazia Bisio lavora come camiciaia nella bottega di famiglia, che confeziona camicie su misura da quattro generazioni. A Zai.net racconta come si lavora tra asole e bottoni
Laura Santi Amantini | 10 dicembre 2013
Perché tra i vari prodotti sartoriali vi siete specializzati nelle camicie?
I miei bisnonni iniziarono così, e da lì si è tramandato di generazione in generazione. D’altronde il lavoro di un artigiano non può essere tramandato che da individuo a individuo; quindi noi ci siamo sempre più specializzati in questa direzione.
Cosa è cambiato nel modo di lavorare?
Da un lato è cambiato poco: noi tagliamo con le stesse forbici della mia bisnonna! Anche la lavorazione più o meno è la stessa: si fa il modello, si taglia la stoffa, si cuce. A cambiare sono stati piuttosto i materiali. La qualità non è più quella dei tessuti dei primi del ‘900, ma al tempo stesso si stirano meglio, hanno altri pregi.
E i clienti sono cambiati?
Un po’. Secondo me è cambiata la mentalità, si riconosce con più difficoltà un prodotto di qualità. Oggi mi sembra che si tenda ad acquistare o una cosa che costa pochissimo, o che è costosa, ma solo perché griffata e quindi in un certo senso riconoscibile. La via di mezzo non è più considerata.
Quindi chi viene da voi?
Sicuramente i clienti storici: ci sono famiglie che vengono qui da quattro generazioni. Poi ci sono anche i giovani: negli anni abbiamo innovato anche la produzione, strizzando l’occhio alla moda. Ad esempio, abbiamo creato un prodotto pronto con un rapporto qualità prezzo davvero eccellente: riusciamo a tenere un costo basso perché compriamo la stoffa in stock e facciamo più camicie della stessa taglia. Il prezzo finale è di circa 50-70 euro, contro i 160 di una camicia totalmente su misura.
Avete avuto anche clienti “eccellenti”…
Sì, la mia bisnonna faceva camicie per un bimbo, un certo Fabrizio De Andrè...
Come nasce la passione per le camicie?
Per me è difficile dirlo, perché io ci sono nata e cresciuta! Pensate che la mia prima parola è stata “taglia”, cucivo a sei anni, ma non perché fossi un fenomeno. Per me era come camminare.
Quanto ci vuole per diventare un camiciaio?
Non basta una vita: io imparo ancora tutti i giorni, e perfino i miei genitori, quando si confrontano con me e mio fratello, hanno ancora qualcosa da imparare. Diciamo che è necessario un apprendistato lunghissimo, prima di produrre ci vuole davvero tanto…
E chi vuole imparare?
Esistono i corsi, ma non tutto si impara sui libri: bisogna vedere il lavoro sul campo. Se un cliente ha la postura strana te ne accorgi solo quando sei a contatto con lui: la soluzione non sta scritta su un libro! Oggi nelle scuole si impara ad essere pronti per una fabbrica, ma il lavoro artigianale è completamente diverso. Bisogna quindi potenziare gli apprendistati, dando un sostegno economico alle piccole botteghe affinché possano permettersi i costi di una formazione.
Quali sono le soddisfazioni maggiori del suo mestiere?
La più grande è vedere un cliente che ritorna. Poi ci sono vari aspetti “poetici”: come toccare una seta fatta con il telaio artigianale, la madreperla dei bottoni, sentire il rumore delle forbici su un tessuto piuttosto che su un altro, maneggiare strumenti che hanno più di cento anni.
Avete mai ricevuto richieste buffe?
Chi si rivolge a noi vuole qualcosa di particolare e diverso, quindi le richieste particolari non mancano mai.
Un’azienda familiare deve curare anche la promozione, la contabilità, ecc: lei si sente più artigiana o più imprenditrice?
Noi facciamo tutto tutti! In realtà mi sento più artigiana, anche se alle volte vorrei avere più tempo per fare anche altre cose.
Se dovesse racchiudere in uno slogan la sua attività, cosa direbbe?
“Su misura”. Non intendo soltanto il centimetro, ma cercare di soddisfare l’esigenza di una persona al di là, appunto, delle misure.
Come nasce un vestito
La prima azione da fare per confezionare un abito è tagliare il cartamodello sulla base del vestito che si vuole realizzare. Successivamente, il cartamodello va posizionato sopra al tessuto e fermato con degli spilli. A quel punto bisogna seguire i contorni del cartamodello con un gesso da sarta: il profilo così realizzato servirà da guida per eseguire le cuciture. Il taglio andrà effettuato a qualche centimetro di distanza rispetto al profilo delle cuciture. Quando si inizia a cucire, è necessario che il dritto del futuro abito sia mantenuto all’interno. Una volta creati i vari pezzi, questi vanno cuciti fra loro partendo dalle spalle fino ai fianchi.
I miei bisnonni iniziarono così, e da lì si è tramandato di generazione in generazione. D’altronde il lavoro di un artigiano non può essere tramandato che da individuo a individuo; quindi noi ci siamo sempre più specializzati in questa direzione.
Cosa è cambiato nel modo di lavorare?
Da un lato è cambiato poco: noi tagliamo con le stesse forbici della mia bisnonna! Anche la lavorazione più o meno è la stessa: si fa il modello, si taglia la stoffa, si cuce. A cambiare sono stati piuttosto i materiali. La qualità non è più quella dei tessuti dei primi del ‘900, ma al tempo stesso si stirano meglio, hanno altri pregi.
E i clienti sono cambiati?
Un po’. Secondo me è cambiata la mentalità, si riconosce con più difficoltà un prodotto di qualità. Oggi mi sembra che si tenda ad acquistare o una cosa che costa pochissimo, o che è costosa, ma solo perché griffata e quindi in un certo senso riconoscibile. La via di mezzo non è più considerata.
Quindi chi viene da voi?
Sicuramente i clienti storici: ci sono famiglie che vengono qui da quattro generazioni. Poi ci sono anche i giovani: negli anni abbiamo innovato anche la produzione, strizzando l’occhio alla moda. Ad esempio, abbiamo creato un prodotto pronto con un rapporto qualità prezzo davvero eccellente: riusciamo a tenere un costo basso perché compriamo la stoffa in stock e facciamo più camicie della stessa taglia. Il prezzo finale è di circa 50-70 euro, contro i 160 di una camicia totalmente su misura.
Avete avuto anche clienti “eccellenti”…
Sì, la mia bisnonna faceva camicie per un bimbo, un certo Fabrizio De Andrè...
Come nasce la passione per le camicie?
Per me è difficile dirlo, perché io ci sono nata e cresciuta! Pensate che la mia prima parola è stata “taglia”, cucivo a sei anni, ma non perché fossi un fenomeno. Per me era come camminare.
Quanto ci vuole per diventare un camiciaio?
Non basta una vita: io imparo ancora tutti i giorni, e perfino i miei genitori, quando si confrontano con me e mio fratello, hanno ancora qualcosa da imparare. Diciamo che è necessario un apprendistato lunghissimo, prima di produrre ci vuole davvero tanto…
E chi vuole imparare?
Esistono i corsi, ma non tutto si impara sui libri: bisogna vedere il lavoro sul campo. Se un cliente ha la postura strana te ne accorgi solo quando sei a contatto con lui: la soluzione non sta scritta su un libro! Oggi nelle scuole si impara ad essere pronti per una fabbrica, ma il lavoro artigianale è completamente diverso. Bisogna quindi potenziare gli apprendistati, dando un sostegno economico alle piccole botteghe affinché possano permettersi i costi di una formazione.
Quali sono le soddisfazioni maggiori del suo mestiere?
La più grande è vedere un cliente che ritorna. Poi ci sono vari aspetti “poetici”: come toccare una seta fatta con il telaio artigianale, la madreperla dei bottoni, sentire il rumore delle forbici su un tessuto piuttosto che su un altro, maneggiare strumenti che hanno più di cento anni.
Avete mai ricevuto richieste buffe?
Chi si rivolge a noi vuole qualcosa di particolare e diverso, quindi le richieste particolari non mancano mai.
Un’azienda familiare deve curare anche la promozione, la contabilità, ecc: lei si sente più artigiana o più imprenditrice?
Noi facciamo tutto tutti! In realtà mi sento più artigiana, anche se alle volte vorrei avere più tempo per fare anche altre cose.
Se dovesse racchiudere in uno slogan la sua attività, cosa direbbe?
“Su misura”. Non intendo soltanto il centimetro, ma cercare di soddisfare l’esigenza di una persona al di là, appunto, delle misure.
Come nasce un vestito
La prima azione da fare per confezionare un abito è tagliare il cartamodello sulla base del vestito che si vuole realizzare. Successivamente, il cartamodello va posizionato sopra al tessuto e fermato con degli spilli. A quel punto bisogna seguire i contorni del cartamodello con un gesso da sarta: il profilo così realizzato servirà da guida per eseguire le cuciture. Il taglio andrà effettuato a qualche centimetro di distanza rispetto al profilo delle cuciture. Quando si inizia a cucire, è necessario che il dritto del futuro abito sia mantenuto all’interno. Una volta creati i vari pezzi, questi vanno cuciti fra loro partendo dalle spalle fino ai fianchi.
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