Dahmer Mostro è la serie TV in vetta alle classifiche e in onda su Netflix che racconta la storia del mostro di Milwaukee ovvero di Jeffrey Dahmer. In tutto il mondo è la serie più vista, con oltre 300 milioni ore di visione in sole due settimane. Un vero record.
Le ragioni del successo
Non è di certo la prima volta che la storia del serial Killer viene riprodotta in films e serie e, quindi, c’è da chiedersi a cosa debba il suo successo la produzione Netflix. In parte c'è un componente di trend, visto il successo che stanno vivendo in generale le produzioni a sfondo medico-legale e criminologico in tutto il mondo. C’è grande interesse e attenzione da parte del pubblico nei confronti serie che raccontano la ricostruzione di crimini, l’analisi dei personaggi di potenziali killer, il loro risvolto psicologico e la capacità di chi a loro si contrappone a svelare gli indizi. Il fascino morboso per le serie crime – soprattutto quelle basate su storie vere – è aumentato, infatti, a dismisura negli ultimi anni. In secondo luogo, parte del successo la si deve alla ottima performance dell’attore Evan Peters, ambiguo e carismatico al punto giusto, un perfetto Jeffrey Dahmer: biondo, alto, di bell’aspetto, calato in una America dell’epoca fortemente razzista e caratterizzata dallo strapotere delle forze dell’ordine.
Ma chi era Jeffrey Dahmer?
È stato un serial killer statunitense fra i più crudeli e prolifici. Conosciuto anche come il Cannibale di Milwaukee o Il Mostro di Milwaukee, gli furono attribuiti ben 17 omicidi, commessi tra il 1978 e il 1991. Le vittime erano quasi tutti ragazzi gay appartenenti a minoranze razziali. Venivano adescati da un Dahmer che si fingeva fotografo e che in cambio di favori sessuali prometteva un avviamento di carriera. La sua macabra fama trae origine dal modus operandi. Faceva soffrire e uccideva le vittime spaziando dalla violenza sessuale al cannibalismo, dallo squartamento alla necrofilia. Condannato all’ergastolo nel 1992, è stato ucciso da un altro detenuto due anni dopo. La serie punta più sulla messa in scena degli orrendi crimini piuttosto che sulla ricostruzione del personaggio approfondendo le sue origini e il suo substrato psicologico-emotivo.
Mistero senza risposta
Generalmente l’infanzia dei serial killer, si rivela cupa e difficile. Un mix di abusi, negligenza, abbandono e ferite o malattie irrisolte sembrano essere gli ingredienti per un cocktail esplosivo. Non trovare una risposta alla nascita e al manifestarsi del male, genera paura e incertezza. È anche vero che la ricostruzione del profilo criminologico e psichiatrico di Dahmer non ha evidenziato particolari traumi: l’intervento chirurgico subito all’età di sei anni, o la nevrosi post partum della madre, o i litigi fra i genitori e le frequenti assenze del padre da casa non sembrarono mai giustificare l’orrore che albergava dentro il serial Killer. Forse anche da qui l’interesse mai scomparso per il mostro di Milwaukee: l’impossibilità di ricostruire un profilo criminologico esaustivo e di trovare un perché alle sue orribili azioni.
Quello che, invece, emerge con chiarezza dalla cronaca di allora e dalla serie, è la completa assenza e inefficienza delle forze dell’ordine. Hanno spesso indagato e arrestato il giovane per violenze sessuali e tentati omicidi. Ma non hanno mai davvero approfondito quello che stava facendo. Il perché? Banale la spiegazione. Principalmente le sue vittime erano gay, neri e ispanici e i testimoni altrettanto neri e ispanici. Lo scarso senso del dovere della Polizia, unito al razzismo latente (declinato in molte forme) ha portato Dahmer a uccidere indisturbato per anni. La serie su questo aspetto si ferma molto. Fra gli episodi più calzanti, quando la vicina di colore di Dahmer, Glenda Cleveland (interpretata da Niecy Nash), tenta ripetutamente e inutilmente di avvertire le autorità degli strani odori e rumori che provengono dall’appartamento di Jeffrey. Rimane purtroppo non ascoltata. Oppure ancora, una delle scene più scioccanti che riporta integralmente un evento reale: la notte del maggio 1991, solo due mesi prima del suo arresto definitivo, gli agenti della polizia di Milwaukee riconsegnarono letteralmente a Dahmer un quattordicenne in fuga, nonostante le proteste di tre donne di colore – la vicina di casa Cleveland, sua figlia e sua nipote – che avevano richiesto l’intervento delle forze dell’ordine. E nonostante il ragazzo, figlio di immigrati fosse nudo, sanguinante e in chiaro stato confusionale.
Le critiche
La serie è piaciuta a tutti? Al pubblico sicuramente sì, lo testimonia l’audience. Forti critiche, invece, soprattutto da parte dei parenti delle vittime, costretti a non dimenticare mai, a rivivere l’orrore subito e a chiedersi ancora oggi perché allora non sia stato fatto di più per fermare il Male.