Sono passati 2 anni dalla morte di Kobe Bryant e della figlia Gianna, nella tragedia aerea sulla collina di Calabasas (che ha visto coinvolte altre 7 persone). Tanti i messaggi di ricordo, tante le commemorazioni, tanto il dolore per la scomparsa non solo di un campione, ma di un uomo vero.
26 Gennaio
“Luca, è morto Kobe”. Sono le 20.31 del 26 Gennaio 2020, quando ricevo questo freddo, lapidario messaggio da parte di un mio amico. Non lascia spazio alle interpretazioni, ma solo ad un'unica grande domanda: “Come?”. Tutti noi inizialmente non ci abbiamo creduto, abbiamo pensato fosse uno scherzo o una fake news. Tutti noi abbiamo sperato di non trovare conferme sui giornali o sui siti online. Niente da fare, era tutto vero. Il Mondo è sotto shock, è una notizia che fa malissimo a tutti. Già, perché Kobe Bean Bryant non è solo stato uno dei giocatori NBA più forti e vincenti di ogni epoca, ma molto di più. Per questo, non voglio solo ricordare chi è stato il Kobe giocatore, ma anche l’uomo.
L’Italia
La lunga storia d’amore tra Kobe e il Basket inizia proprio nel nostro Paese, che per Bryant ha rappresentato casa dai 6 ai 13 anni. Il rapporto tra Kobe e l’Italia è sempre stato strettissimo, tanto che è stata spesso meta delle sue vacanze insieme alla famiglia, passando da quei luoghi nei quali ha vissuto da bambino. Da Rieti a Reggio Calabria, da Pistoia all’amatissima Reggio Emilia. Ogni città conserva ricordi e amicizie che Kobe non ha mai dimenticato e, anzi, ha voluto mantenere nel tempo. Anche per questo sono state molte le iniziative per commemorare il Black Mamba dopo la morte: un campetto a Napoli, il piazzale intitolatogli a Reggio Emilia (prima città del mondo a farlo), i murales sparsi per tutta Italia… Insomma, il legame tra Kobe e il nostro Paese è fortissimo, tra ricordi giovanili e le nuove generazioni di giovani italiani che si sono ispirati a lui.
Black Mamba
La vita di Kobe Bryant è stata un susseguirsi di emozioni, gioie e dolori, vittorie e sconfitte. Sia in campo che fuori Kobe ha incontrato difficoltà e avversari, che l’hanno messo a dura prova. Proprio per questo, nel momento di maggiore difficoltà, che coincide con il 2003 (l’anno dell’accusa di violenza sessuale, dei problemi con la moglie, della relazione difficile con i genitori, degli screzi con O’Neal e Phil Jackson), Kobe diede vita al Black Mamba. Si trattava di una sorta di alter ego, che prendeva il nome di un serpente particolare: lungo, pericoloso e con forte carattere. Kobe rivedeva sé stesso in campo in quell’animale e per questo optò per una netta separazione tra campo e vita privata. Infatti, Kobe si sarebbe dedicato ai problemi extra-campo,mentre in campo sarebbe entrato in scena il Black Mamba. Era una scelta dettata dall’esigenza di rimanere focalizzato sull’obiettivo che si era prefissato fin da piccolo: alzare il livello per diventare il migliore di sempre nello sport che amava. Quella che oggi noi tutti conosciamo come “Black Mamba mentality” è un’eredità importantissima , testimoniata dalle sue stesse parole: "La “Mamba Mentality” è una forma mentis che va oltre lo sport, è un modo per migliorarsi sempre: “ Se lavori abbastanza anche nei momenti in cui sei troppo stanco per farlo, non solo realizzi i tuoi sogni, ma farai accadere qualcosa di ancora più grande”. È una lezione di vita importantissima, che spiega come la dedizione e la perseveranza nel lavoro portino a raggiungere i propri sogni. La leggendaria carriera di Kobe ne è la dimostrazione.
Riscatto e gloria
Al crepuscolo dei suoi 25 anni, Kobe aveva già un palmares e dei numeri da superstar NBA: 3 titoli NBA consecutivi (1999-2000, 2000-2001, 2001-2002), 5 volte All Star (1998, 2000, 2001, 2002, 2003) e svariati record di precocità e non solo. Sembrava tutto apparecchiato per una carriera praticamente perfetta, ma i problemi citati in precedenza influenzarono negativamente in quegli anni la carriera di Kobe. In più, il ciclo d’oro dei Lakers di inizio millennio era giunto ormai al termine: dopo la sconfitta nelle Finals 2004, il “nemico” O’Neal venne ceduto assieme a molti altri artefici del three-peat. I suoi Lakers vissero 4 anni di flessione, complice una squadra non ancora all’altezza del titolo e una NBA sempre più competitiva. Questi però furono anni di crescita per Bryant. Era diventato un miglior leader e uomo squadra; l’accusa di violenza era stata ritirata ed il rapporto con Vanessa (la moglie) si era stabilizzato, anche grazie alla nascita di Gianna e Natalia Diamante, le sue due figlie. Dopo cinque anni di costruzione e transizione, finalmente nelle stagioni 2008-2009 e 2009-2010 i Lakers tornarono al titolo, con Bryant premiato MVP in entrambe le occasioni, simbolo della rinascita non solo dal lato umano, ma anche da quello sportivo. Bryant si ritirò nel 2016, al termine di una carriera esaltante, arricchita anche da 2 ori olimpici con il Team Usa e da prestazioni storiche come gli 81 punti contro i Raptors nel gennaio 2006.
More than an athlete
In definitiva Kobe non è stato solo un atleta leggendario, che ha incantato milioni di tifosi e appassionati in tutto il mondo per oltre 20 anni, ma molto di più. È diventato un simbolo della pallacanestro, una fonte di ispirazione per un’intera generazione di atleti e non solo. Ha dimostrato a tutti noi che un sogno può diventare realtà, con dedizione e sacrificio, con mentalità e determinazione. Ha dimostrato che dal momento più buio e complicato ci si può rialzare, tornando più forti di prima, nonostante tutti ti remino contro e che, con passione e volontà, tutti possono fare la differenza.
Mamba out
Dopo il ritiro Bryant non si è fermato. Ha iniziato la sua carriera da imprenditore e mentore, ha vinto il premio oscar con il cortometraggio “Dear Basketball” (ispirato alla sua lettera d'addio al Basket scritta nel 2015). Ha iniziato a scrivere un libro per ragazzi con Paulo Coelho, per ispirare i giovani con la sua storia. Soprattutto ha dedicato più tempo alla sua famiglia: ha rinsaldato il rapporto con la moglie, che è stata fondamentale per lui, restando sempre al suo fianco, anche in quel lontano 2003. Con lei ha avuto 4 splendide figlie, a cui era legatissimo e alle quali finalmente poteva dedicare quel tempo che non aveva praticamente mai avuto. In particolare aveva un rapporto speciale con Gianna, che era intenzionata a seguire le orme del padre. Insomma… il Mamba era pronto a mostrare la sua grandezza anche fuori dal rettangolo di gioco. Il destino, però, non gli ha dato il tempo. Così come a Gigi. Ho seguito Kobe per anni, grazie a lui mi sono innamorato del Basket. La sua perdita, per me e per chi da anni segue l’NBA, è stata una delle più dolorose degli ultimi anni. Non solo per quello che ha fatto in campo, ma perchè Kobe è stato, è e sarà sempre una persona speciale, che porteremo sempre nel cuore. “Two years without you, but I will never forget you. Live on brother.”