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Dal miracolo Brescia alla rinascita di Cantù: a tu per tu con Sandro Santoro
Dalla semifinale scudetto con Brescia all’ambizioso progetto Cantù, passando per le dinamiche del basket-mercato nostrano e prospettive future. Sandro Santoro si racconta ai microfoni di Zainet
Luca Bianchi | 6 aprile 2023

Nell’ultimo decennio del nostro Basket abbiamo spesso assistito a momenti particolari, che hanno visto come protagoniste squadre sulla carta sfavorite, che hanno raggiunto però risultati straordinari: la Cantù guidata da Trinchieri, Reggio Emilia con Della Valle, Trentino, la Dinamo di Sacchetti e… la Germani Brescia semifinalista scudetto, nonché finalista di Coppa Italia nel 2018. Una squadra dal talento sconfinato, composta da giocatori del calibro di Marcus Landry, Michele e Luca Vitali, Dario Hunt, David Moss, Lee Moore e Brian Sacchetti e sapientemente guidata da Andrea Diana. Dietro a questa efficiente macchina da basket c’era la mano e la lungimiranza di Sandro Santoro, ex giocatore, in particolare bandiera della Viola Reggio Calabria, ed ora general manager dell’Acqua San Bernardo Cantù. Nella sua carriera ha scoperto e portato in Italia giocatori semi-sconosciuti, che si sono poi rivelati talenti di grande spessore. Ha reso grande la Germani, contribuendo in maniera importante alla sua ascesa nell'élite del nostro basket ed ora ha aderito al progetto di una società gloriosa come Cantù, che punta a tornare presto ad essere protagonista in Serie A, passando prima per l’agognata promozione. Ci siamo inoltre affidati alla sua esperienza e conoscenza del mondo del mercato cestistico, per capirne dinamiche e tecniche.

Ci potrebbe spiegare quali sono le dinamiche del Basket-mercato italiano?

Le dinamiche sono differenti in base al campionato a cui si partecipa e, soprattutto, ai periodi di mercato disponibili, così come al numero dei visti disponibili. È evidente che la differenza tra Serie A e A2 è sostanziale per questi due ultimi fattori, in relazione ad un mercato aperto per tutta la stagione e numero degli stranieri per la Serie A, mentre è noto che il campionato di A2 è molto diverso sia per la presenza di periodi di mercato più ristretti, sia per il numero degli stranieri che si possono contrattualizzare. Di conseguenza, per l’A2 il mercato dei giocatori italiani assume un impatto strategico molto determinante. In ambedue i casi, però, risulta decisivo quello che si riesce a fare nel mercato estivo che, in presenza di particolari criticità legate a problemi tecnici o di infortuni, ti consente di perfezionare la squadra durante la stagione, ma non di stravolgerla. In estate si crea un gruppo di giocatori da valutare in base alla tipologia di squadra che si vuole costruire, che deve essere legata all’idea di progetto tecnico del Capo Allenatore e da qui si parte; vengono selezionati profili che rispondano ai ruoli dei giocatori, le caratteristiche tecniche idonee ed il valore economico che ci si può permettere, riferito al budget che si dispone per la squadra. Nel corso delle valutazioni complessive, quando queste tre condizioni coincidono, si crea una rete di giocatori che definisco “graditi” a tutti gli addetti coinvolti nelle scelte. Per mio credo e modo di lavorare sui giocatori “graditi” l’ultima parola spetta al Coach, perché è lui che li fa giocare ed è l’unico ad avere il quadro tecnico più completo. In tutto questo percorso si valuta, si discute, si può anche litigare, ma si esce dalla stanza con un’idea comune, unica e definitiva, perché ciò che hai costruito va difeso fino alla fine. Semmai dovesse esserci qualche dettaglio che non ha funzionato, si cambia qualcosa ma senza stravolgere. Se questo accadesse, significherebbe mettere in discussione le scelte iniziali, cosa da evitare ma che può anche accadere. Se uno che fa il mio mestiere imponesse le scelte, facendo leva sul suo ruolo, rappresenterebbe l’anticamera del disequilibrio che si genera nei momenti di difficoltà che prima o poi arrivano sempre e, quando ci sono, ognuno potrebbe essere naturalmente portato a cercare giustificazioni a discapito delle soluzioni.

Qual è stato il miglior colpo di mercato della sua carriera?

Ce ne sono stati molti che, oltre ad essere grandi giocatori, si sono rivelati ottime persone. Quando le due cose coincidono hai il massimo delle garanzie di risultato. Faccio tre nomi in ordine cronologico che hanno risposto a queste caratteristiche: David Moss, Marcus Landry e Luca Vitali. Non è un caso che tutti e tre insieme abbiano tracciato la strada che ha portato Brescia ad essere una tra le realtà più importanti del campionato di Serie A di questi anni. Per non dimenticare nessuno però, ci tengo a dire che ogni giocatore di ogni mia squadra, fino ad oggi, mi ha sempre dato qualcosa che porto nel cuore, proprio perché c’è sempre da imparare. Forse ho imparato più da situazioni complesse o problematiche che da altre molto più fluide e, naturalmente, più gestibili.

Quando nasce la scelta di diventare dirigente?

Nel 2001, a causa di un infortunio, la mia carriera di giocatore giunse al termine. Da quel momento in poi, seppur con qualche piccola parentesi di inattività nel basket, mi ritrovai a non poter rinunciare a ciò che ha rappresentato la mia vita. Ho cominciato a giocare all’età di otto anni e da allora ho mangiato pane e basket continuativamente, per cui scegliere di continuare con un altro ruolo in questo mondo mi è sembrata la cosa più naturale. Lo affermo anche perché quando fai qualcosa che ti piace riesci a farlo meglio di altro.

L'anno della semifinale scudetto a Brescia è ancora nella memoria di tutti. Come l'ha vissuto lei?

Quando non sei favorito e ti capita un’occasione come quella, la devi prendere, perché non sai quando e se ricapiterà. La conferma è il "grande slam” della Dinamo Sassari di Meo Sacchetti, che sfruttò questa opportunità , cogliendo una grande occasione offerta da una concomitanza di fattori che consentirono di andare le potenzialità economiche. Tornando a Brescia quel momento l’ho vissuto come un’occasione persa, ma con la speranza che un giorno, chissà, possa riaccadere.

L'approdo a Cantù ha coinciso con un momento molto delicato. Come si è trovato finora?

Molto bene. La tradizione e la storia di questo Club sono di grande stimolo per tutti. L’ambizione di tornare in Serie A è fortissima per motivi naturali ed il lavoro più difficile è convincerci tutti che non deve diventare un’ossessione. Qualcuno ha affermato che l’ossessione copre il talento; noi abbiamo talento e ambizione, ma dobbiamo tenere in giusta considerazione tutto il resto per sfruttarli al meglio.

Come ha convinto un mostro sacro del nostro Basket come Meo Sacchetti a venire a Cantù?

Conoscevo Meo Sacchetti come mostro sacro del nostro basket, ma averlo conosciuto come persona è la spiegazione di come siamo riusciti a portarlo a Cantù. Quello che si vede non è altro che una piccola parte della sua grandezza come persona ed è una delle spiegazioni del suo successo da giocatore ed allenatore, tra i più importanti della storia della pallacanestro italiana e non solo. La sua grandezza non sarà colorita, sonora e appariscente, ma è una cosa diretta, intensa che si nutre di sostanza, silenzio e di tempo. Questo credo possa descrivere, in parte, la bontà della persona e del professionista Meo Sacchetti.

Quali sono le sensazioni per il futuro prossimo? C'è fiducia in una promozione imminente?

È un’operazione possibile sulla quale stiamo lavorando con tenacia e fiducia, perché vincere la Serie A2 può avvicinarsi ad essere un terno al lotto, ma abbiamo lavorato, lavoriamo e lavoreremo per ottenere il massimo del risultato. Si chiama fiducia perché appartiene a quello che senti, e non a quello che sai.

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