Sono Christian, ho 15 anni e sono un giovane tifoso della Roma, abbonato in Curva Sud dalla stagione 2015/2016 con mio papà. Lo stadio è il posto che attendo tutta la settimana e quando arriva la domenica penso tutta la giornata al mio posto del cuore. Vivere la Curva è un sentimento che non si può spiegare e che non ha nulla a che vedere rispetto al guardare la partita da casa: è un’esperienza di comunità, in cui migliaia di persone vivono gli stessi sentimenti all’unisono e vibrano delle stesse emozioni abbattendo ogni barriera sociale e generazionale. In Curva i sentimenti sono amplificati e non si ha vergogna di lasciarsi andare a emozioni infantili e istintive, di abbracciarsi e di insultare.
Come fare a spiegare cosa si prova dopo una bella vittoria e dopo una bruciante sconfitta, se non lo si vive di persona? L’esplosione di gioia collettiva e la delusione condivisa sono un’esperienza troppo forte. L’atmosfera è travolgente e spinge a fare delle cose che fuori dalla Curva non si farebbero mai. Anche insultare gli avversari fa parte di questo gioco delle parti e sui gradoni c’è un tacito accordo che ci permette di tirare fuori parole che normalmente non verrebbe mai in mente di dire. Certo, lo stadio non è il posto più tranquillo del mondo e anche a me è capitato di avere paura, soprattutto qualche anno fa quando i controlli non erano così severi e il rischio di finire in mezzo a uno scontro tra tifoserie non così rato, specialmente durante i derby.
Ma una volta entrati e preso posto, la gente smette di essere litigiosa e si crea quella simbiosi che solo in Curva si può vivere: come cantava Antonello Venditti è “qualcosa che ci fa sentire amici anche se non ci conosciamo” e ad ogni gol ci si ritrova ad abbracciare sconosciuti che improvvisamente di- ventano fratelli.