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Se la discriminazione è di genere
Se la discriminazione è di genere
L'Italia è indietro nella promozione delle squadre femminili
Valerio Chiriatti | 28 giugno 2016

Il calcio è uno sport che racconta il mondo e lo spinge nel futuro, tanto che è considerato da molti addirittura un costume, una cultura. Ma altrettanto diffusa è la convinzione che sia uno sport prettamente maschile, sia per quanto riguarda la parte attiva – i giocatori – che quella “passiva” – gli spettatori. In realtà, l’interesse femminile nei confronti di questo sport è notevolmente aumentato.

Secondo uno studio della società di ricerche specializzata Repucom, oggi in Italia più di metà della popolazione femminile, ovvero il 54,8%, si dichiara interessata al calcio. Lentamente questo sport si sta aprendo alle donne anche a livello dirigenziale: esempio lampante di ciò è Barbara Berlusconi, attuale vice-presidente del Milan.

Ma nel nostro Paese rimane una forte discriminazione per chi gioca: la legge infatti prevede che i campionati di calcio femminile siano solo dilettantistici. E di conseguenza anche la retribuzione è molto diversa da quella degli uomini: pensate che la calciatrice più pagata al mondo guadagna 400mila euro l’anno, che corrisponde alla retribuzione di un giocatore medio nei campionati di massimo livello.

In Italia poi ha il suo peso anche la discriminazione di genere: le calciatrici sono costrette quotidianamente a fare i conti con ostacoli e pregiudizi in un Paese che giudica le donne brutte, lesbiche, per il solo fatto di correre dietro a un pallone, sebbene anche le bambine, oramai, sognino il campo. 

Su 30 milioni di italiane, solo 22mila sono tesserate per uno dei 300 club della penisola: un numero bassissimo, se confrontato con la realtà nordeuropea del calcio femminile, la più avanzata in termini di partecipazione.

«Attualmente il calcio femminile è quello che ha i numeri più bassi del sistema calcistico, ma ha margini di crescita notevoli - ha spiegato Carlo Tavecchio, presidente della FIGC - E poi il calcio femminile ha necessità di portare la donna al livello che le compete in una società che sta cambiando».

A parità di lavoro, una donna italiana guadagna l’11% in meno rispetto allo stipendio di un uomo; nel calcio il gender gap retributivo scava un solco ancora più macroscopico. Il budget annuale in Italia destinato al calcio femminile è di circa 3 milioni di euro, mentre nel resto d’Europa è tutta un’altra storia. Ad esempio, in Germania la Federazione ha iniziato ad investire tanti anni fa, e attualmente vanta un budget annuale di 8,5 milioni di euro, mettendo così le donne nella condizione di poter fare dello sport un lavoro. Anche in Francia 10 anni fa la situazione era come in Italia, ma poi la Federazione ha intrapreso un piano di sviluppo e in contemporanea grandi club, come il Lione, il Montpellier, il PSG hanno deciso di investire sulla propria sezione femminile. E in Italia? 

Ci sono segnali positivi da quando, nel 1968, il calcio femminile è stato riconosciuto ufficialmente: oggi applaudiamo il coraggio delle ragazze di Locri, che hanno difeso con coraggio la propria voglia di giocare. Lo scorso anno la FIGC ha invitato i club professionistici a dotarsi di una formazione femminile, acquisendo il titolo sportivo di squadre già esistenti. Per adesso in serie A solo la Fiorentina ha accolto l’idea ed ha aperto un laboratorio per donne che guarda al futuro.

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